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1.7 Un vocabolario per la conservazione
Luca Battista
Nelle “terre dell’osso” … spolpato
Nel 1978 veniva pubblicata una raccolta di sag-
gi
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di eminenti personaggi quali Cervellati, Pic-
cinato, Panella, Manieri Elia che commentavano
la politica urbanistica nell’ambito della defini-
zione di una metodologia di recupero per i cen-
tri storici. Il Manieri Elia, ad esempio, nel suo
saggio analizzava “Il problema dei centri storici
minori del Mezzogiorno interno”. Sintetizzan-
do le riflessioni scaturite da una sua ricerca svol-
ta nell’ambito di un più vasto lavoro sul Mezzo-
giorno, condotto dal gruppo di progettazione
“Il Politecnico” di Matera, Mario Manieri Elia af-
fermava che “… per il Mezzogiorno interno,
salvo casi di evidente valore monumentale …,
il tipo di centri arroccati ed isolati ha il destino
segnato. L’abbandono infatti, con lo spopolamen-
to della campagna meridionale, la stessa irrazio-
nalità ubicativa ne hanno già determinato il dis-
sesto: quando sopravvivono, testimonianze di
un’antica ed oppressiva cultura, non possono di
regola essere indicati come luoghi proponibili per
una incentivazione residenziale. Il loro ruolo, in
prospettiva, a parte il valore di documento sto-
rico, rischia di essere legato agli entusiasmi del
più decadente, residuo estetismo”.
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Le foto e le immagini degli anni settanta dei pa-
esi irpini, nelle “terre dell’osso”, restituiscono la
chiara iconografia riconducibile alla metafora che
ricorda il presepe. Case in pietra arroccate per
la maggiore su colline che spaziavano sulle valli
circostanti, piazze e vicoli intriganti, eccezionali
spazi di socializzazione, terrazze proiettate nella
natura orientate a cogliere fino all’ultimo raggio
di sole spento in un commovente tramonto.
Le immagini, i video e le esperienze personali,
oggi, restituiscono i paesi irpini sempre nelle
“terre dell’osso” ormai spolpato. Lo spopola-
mento, il silenzio, il vuoto e intorno i nuovi pa-
esi, le “civiltà delle catastrofi”, con l’edilizia nuo-
va, – pulita ed ordinata come i vestiti “alla moda”
degli sposi (non è alla moda ricostruire come
impone un modello culturale urbanistico ed
architettonico di riferimento?), – e con le per-
sone molto spesso sospese in una dimensione
atemporale, protese solo al ricordo del passa-
to. “Paesi dilatati, senza limiti urbani, esplosi sul
territorio come arance schiacciate”.
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Nel racconto senza trama di nuovi paesaggi
Nel mezzo, tra gli anni settanta ed oggi, in Irpinia,
c’è stato un terremoto; con le scosse e le distru-
zioni “interiori” che forse hanno irrimediabilmen-
te segnato le coscienze; con le trasformazioni ed
i mutamenti di un territorio che ha accolto le
centrifughe dilatazioni urbanistiche di paesi tan-
to desolatamente vuoti per quanto cresciuti.
Queste nuove città o paesi o borghi hanno nel
loro DNA – modificato – la catastrofe: questo
gene, oggi, le può rendere effettivo oggetto di
riflessioni “globalizzate”, se è vero che nella di-
mensione drammatica dello smembramento e
della destrutturazione, si svolgono azioni quo-
tidiane e proiettive. “La compiutezza e la fini-
tezza dell’invaso urbano non esistono più, can-
cellate da un carattere instabile che ha trasfor-
mato la città contemporanea in un racconto
senza trama di paesaggi demoliti”.
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Paradossalmente, queste città rinate dalle di-
struzioni si collocano in una più vasta visione
moderna ed attuale del progetto della città
contemporanea, disagio ed incertezza sono pro-
pri dell’urbanistica alle soglie del nuovo millen-
nio. “La città è uno spazio senza centro e senza
confini da attraversare come un ipertesto”;
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tra
i link di questo ipertesto troviamo anche i nostri
centri storici in bilico tra modernità e tradizione,
ed immersi dentro la schizofrenica commistione
tra “vecchie” pietre e “nuovo” cemento.
È ormai necessaria un’azione concreta di docu-
mentazione e quindi rivalutazione, oltre che del-
le risorse per così dire “tradizionali”, anche di
quelle parti del territorio maggiormente stravolte,
incoerenti con la natura stessa dei luoghi, ma
forse anche per questo più vicine ad una imma-
gine contemporanea di territorio-metropoli,
dove comincia ad essere difficile riconoscere il
senso della città piccola, in antitesi alla metropo-
li. La dicotomia del centro contrapposto alla pe-
riferia si è fortemente radicalizzata o in un con-
tinuum territoriale oppure in un assoluto isola-
mento con l’abbandono delle sane e vivibili –
perché innanzitutto ancora in armonia con la
misura dell’uomo – realtà dell’entroterra.
Si tratta di interpretare i segni di una mutazione
che ha reso i nostri luoghi parti ibride, sbilenche,
disequilibrate, involucri in cui reliquie di antiche
e sobrie forme del vivere si confondono le fre-
netiche aspettative delle società avanzate.
Questi segni sono tracce dove si ritrovano i
contenuti per tentare di ricominciare a tessere
la trama di un altro racconto di paesaggio; dove
si distinguono gli indizi per definire i paradigmi
di un ruolo territoriale attivo e non solo ro-
manticamente museificato o peggio “diroccato”.
È vitale, più di quanto si possa ancora oggi pen-
sare, che tra antichi riti e nuovi modelli di com-
por tamento si digiti il testo per una nuova ter-
ritorialità i cui pixel siano anche costituiti dalle
antiche pietre che ancora si possono “toccare”
e dalle forme urbane storicamente determina-
te che ancora si possono attraversare.
Per non mummificare cadaveri
Le riflessioni sin qui condotte ci guidano all’in-
terno di un dibattito recente e per questo an-
cora ricco di dubbi e domande.
Da un lato la ricerca di strumenti idonei alla
comprensione dei fenomeni di trasformazione
del clima culturale, politico ed economico che
accompagna il mutamento dei nostri paesi dopo
un evento catastrofico come il terremoto; da
un’altra angolazione la ricerca di metodi ed in-
Cairano (AV). Studio per il profilo regolatore di via
Venosino