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comuni disastrati fin dai primi giorni dell’emer-
genza; strutture che abbiano già prodotto ed
analizzato dati inerenti il territorio; strutture in-
terdisciplinari capaci di gestire, attraverso reti
di dati, le complessità dell’evento; storici, socio-
logi, urbanisti, architetti, ingegneri, geologi, tec-
nologi, affiancati da tecnici e amministratori lo-
cali, in grado di analizzare, catalogare, recupe-
rare la par te storica e riprogettare con cer tez-
za la par te nuova.
Ben vengano iniziative come il centro regionale
di competenza AMRA, da poco insediato a San-
t’Angelo dei Lombardi.
Si eviti di ricorrere agli amici architetti del pre-
sidente di turno.
Riprendendo i capisaldi di questo breve excur-
sus, in quanto alle tipologie di intervento dei
piani di recupero occorre forse privilegiarne
due: il restauro conservativo, da proporre con
fermezza nei centri storici, e la ristrutturazione
urbanistica da cogliere come occasione di ridi-
segno urbano, privilegiando gli spazi sociali del-
la collettività.
Da evitare assolutamente ogni suggestione di am-
pliamento urbano o di ricostruzione a distanza.
Riguardo le responsabilità connesse ai progetti
bisogna dire che, in genere, sono stati affidati a
soggetti privi di cultura; attenti, forse, negli aspet-
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ti par ticolari, specifici, ma incapaci di compren-
dere il senso complessivo che ogni intervento
deve avere; incapaci di cogliere il significato, ad
una scala più ampia delle singole operazioni loro
richieste e quindi, nel migliore dei casi, attenti
al singolo edificio in quanto tale e non inteso
invece come momento dello spazio urbano; in
questo confermando ulteriormente che l’appa-
rato legislativo italiano, e quindi ogni legge di
ricostruzione, fornisce unicamente direttive su
come realizzare la singola casa o il singolo edi-
ficio in genere; esiste una cultura della quale
siamo permeati sia in termini istituzionali che
in termini progettuali che spinge a fornire delle
risposte singolari e non di complessità.
Da evitare quindi il fattore isolazionista che ha
caratterizzato negativamente ogni ricostruzione.
Sull’attuazione edilizia si può pensare all’affida-
mento a consorzi di imprese locali attraverso
lo strumento della concessione. Il consorzio di
imprese locali si rende necessario per evitare
l’ingerenza da parte di imprese che provengo-
no da aree geografiche distanti con le conse-
guenti problematiche patologiche riscontrate
anche in Irpinia: sub-appalti, drenaggio di risor-
se economiche, cattiva qualità di esecuzione. È
impor tante far crescere il tessuto imprendito-
riale locale in modo da non disperdere quel
patrimonio di esperienza e cultura materiale
necessario per intervenire correttamente nei
centri storici. La concessione, mediante un uni-
co soggetto referente, può assicurare rapidità
dei tempi di esecuzione, trasferimento di re-
sponsabilità burocratiche operative (ad esem-
pio espropri e refusioni catastali) e al contem-
po una qualità edilizia a grande scala. Si potreb-
be così evitare un altro dei fattori negativi che
si è riscontrato nei centri altirpini: la ricostru-
zione a macchie (per singole unità, senza unita-
rietà di intervento, né priorità). Con l’unitarietà
di attuazione si potrebbe procedere per ambiti
consegnando par ti urbane pavimentate, illumi-
nate, immediatamente abitabili; par ti finite che
in tempi brevi invoglino il cittadino a staccarsi
dal prefabbricato e dall’inerzia legata ad esso.
Valva, nell’alta valle del Sele, in provincia di Sa-
lerno, è forse l’unico centro distrutto da sisma
del 1980, dotato di piano di recupero in cui si è
attuata la sostituzione generalizzata da parte del
comune (esproprio generalizzato e riassegna-
zione delle unità abitative finite, con le modali-
tà quindi solitamente adottate in Piano di Zona);
quindi con unitarietà di programmazione, pro-
gettazione, realizzazione.
L’unitarietà di intervento attuata a Valva sem-
bra aver dato risultati confor tanti.
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