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dirizzi necessari alla conservazione dei centri
storici, anche quelli minori e “segnati nel loro
destino”.
Il patrimonio urbanistico ambientale, spesso di-
menticato ed abbandonato, che caratterizzava
la realtà territoriale dell’Alta Irpina, è diventato
all’indomani del terremoto del 1980, – nelle sue
par ti più “appetibili” commercialmente – terra
di conquista delle colate di cemento armato.
La ricostruzione postsismica ha profondamen-
te “rinnovato” gli elementi fisici che conforma-
vano lo spazio urbano ma ha lasciato in depres-
sione la situazione socio-economica, segnando
nuovamente il destino di centri urbani, sempre
più vuoti.
È oppor tuno porsi il problema del recupero di
tali organismi urbani, anche da uno specifico
punto di vista come quello ad esempio del “re-
stauro urbano”. È indubbio che la conservazio-
ne di quegli insediamenti storici, ancora rico-
noscibili nella materia e nella conformazione
urbanistica “originaria” può essere funzionale alla
ripresa sociale ed al recupero delle strutture
fisiche solo quando si opera su organismi vivi, a
meno che non si voglia mummificare cadaveri.
Per cui, “non è tuttavia possibile disgiungere il
problema del recupero da quello del riuso e
quindi delle modalità attraverso cui ripor tare
la vita all’interno di realtà rurali, proponendo
modelli di sviluppo sostenibile che non ne alte-
rino l’identità pur evitando di trasformarli in
sterili monumenti fini a se stessi”.
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Il progetto di un nuovo territorio ha come input
proprio la capacità di valorizzare le specificità
locali e di conservare e trasmettere una identi-
tà condivisa, individuale e collettiva, dove la mi-
sura alla scala umana codifica ed assembla i
dettagli, i materiali, i luoghi costruiti che ancora
non hanno ansimato l’ultimo sospiro.
Salvaguardia e conservazione dei centri storici,
recupero della memoria e rispetto della tradi-
zione, possono coniugarsi con la dinamicità e la
flessibilità che processi di sviluppo economico
del territorio di riferimento, per quanto poten-
ziali, richiedono?
Un vocabolario per le azioni della conservazione
La salvaguardia di un’architettura del passato, è
ormai assodato, ha per fine quello di conserva-
re tutta una serie di valori connessi con il mo-
numento, i quali soddisfano alcuni bisogni es-
senziali dell’uomo; quelli che Alois Riegl indivi-
duava nei meccanismi psicologici della memo-
ria, del ricordo ed in quella “volontà d’ar te” –
bisogno spirituale di ogni uomo – e che defini-
sce per ognuno un ideale di bellezza.
Ma cosa significa salvaguardare ciò che resta dei
nostri centri storici? Quali azioni pragmatiche
bisogna realizzare? Cosa deve contenere il vo-
cabolario per l‘opera conservativa?
La Car ta internazionale per la salvaguardia del-
le città storiche,
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(1987) – riferimento cultura-
le e link di quell’iper testo (il territorio senza
più centro e senza più confini) che si tenta di
navigare – stabilisce in sostanza i principi e gli
obiettivi, i metodi e gli strumenti necessari per
salvaguardare, le città, grandi o piccole, i centri
ed i quar tieri storici, con il loro ambiente natu-
rale e costruito, che esprimono, oltre alla loro
qualità di documento storico, i valori peculiari
di civiltà urbane tradizionali.
La Car ta, quindi, definisce le misure necessarie
sia alla protezione, conservazione ed al restau-
ro delle città storiche sia quelle utili per uno
sviluppo coerente con le esigenze della vita
contemporanea.
I principi enunciati nella suddetta Car ta – con
tutto il bagaglio teorico e metodologico che
sottendono – possono essere considerati la
premessa su cui fondare, oggi, un piano di recu-
pero e riqualificazione urbanistica?
È evidente che la consapevolezza che ogni en-
tità urbana costituisce un unicum por ta a defi-
nire ogni volta un complesso di regole che de-
finisce la griglia di quel piano di “salvaguardia” –
ma anche di “trasformazione” – che scaturisce
dalla sincronica realtà socio economica, cultu-
rale, politica, ambientale.
È forse utile che per i nostri piccoli centri non
ci si accalori più di tanto a definire previsioni,
dimensionamenti e normative, quanto regole.
Non si è cer to di fronte ad organismi comples-
si, né par ticolarmente estesi, ma il grado di de-
finizione strutturale di questi luoghi è comun-
que tale da rendere sempre necessaria una
considerazione dei loro problemi in una dupli-
ce scala: quella architettonico – edilizia e quella
urbana – fruitiva.
Attraverso gli oppor tuni strumenti urbanistici
si possono indirizzare le trasformazioni del tes-
suto edificato storico; ad esempio con schede-
rilievo con indicazioni per così dire “compositi-
ve”, in uno con abachi di soluzioni tecnologiche
e figurative puntuali e dettagliate per gli ele-
menti che conformano lo spazio urbano. Pro-
babilmente è una buona strada per opporsi a
norme e vincoli che non si ha più voglia di in-
terpretare, capire ed applicare.
Sulla rupe.Tra il sole e la roccia, il vento ed
il silenzio
“Cairano è uno di quei luoghi che prendono il
loro fascino dalle cose che non ci sono (…)
Qui non si tratta di aggiungere, di abbellire. Il
metabolismo sociale di tanti dei nostri paesi
considerati in via d’estinzione non può essere
modificato inseguendo le sirene della moder-
nizzazione e neppure riproponendo condizioni
di vita tipiche del passato. Di un paese è neces-
sario innanzitutto che ne possa fare buon uso
chi lo abita, poi può anche essere considerato
una merce da vendere sul mercato turistico”.
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Il borgo di Cairano domina – dall’alta collina su
cui sorge – la valle del fiume Ofanto. Dalla som-
mità della rupe, a circa 800 m sono visibili: il
complesso del Vulture a est, il comprensorio del
parco dei Monti Picentini a sud, i Monti del Par-
tenio ad ovest, la pianura pugliese a nord.
Il centro storico presenta integro il carattere di
borgo medievale con una forma semicircolare
aperta magnificamente su emozionanti orizzonti.
Tutto l’abitato è esposto a sud quasi a seguire il
percorso rigenerante della luce e dei raggi del
sole. Il terremoto pur avendo ferito mor talmen-
te il paese, non lo ha devastato, intere par ti del
suo nucleo storico sono ancora “matericità” con
tutta la pesantezza poetica e malinconica di pie-
tre abbandonate e degradate.
E da qui che si è ripar titi nell’affrontare una pia-
nificazione urbanistica par ticolareggiata, che è
tutt’ora in itinere, ma che ha già tracciato una
griglia metodologica largamente condivisa, anzi
Cairano (AV). Tetti visti dal campanile
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