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bilità di materiali in passato, oggi generalizzate
e riprese da modalità universalmente valide e
quindi prive di qualsiasi carattere di regionalità,
di qualsiasi legame al luogo, al clima, alla tradi-
zione, al paesaggio. Ma è anche rappresentato
dalle tipologie originarie, che hanno intrinseci
caratteri e valori di sostenibilità, perché basate
su schemi intuitivi di ar ticolazione dello spazio,
dei por ticati, delle finestre e dei terrazzi che
garantiscono corretti livelli di soleggiamento e
notevoli condizioni di ventilazione naturale. Al
tempo stesso, le tecnologie edilizie e murarie
storicamente utilizzate garantiscono la migliore
coibenza termica, mentre il rappor to pieno/
vuoto sulle facciate garantisce l’illuminazione
naturale degli spazi interni, la corretta dispersio-
ne termica evitando completamente l’ingresso
del vento, soprattutto in inverno.
Occorre sottolineare che, in questi agglomera-
ti edilizi antichi, l’esperienza del controllo del
clima interno derivava ampiamente dalla abitu-
dine storica a vivere con forature delle pareti
che non potevano essere chiuse da materiale
trasparente; quindi erano fori di piccola dimen-
sione, chiusi in genere durante le ore del buio
da chiusure opache, in genere di legno, che ser-
vivano a riparare lo spazio interno dal freddo e
dagli animali. Fori che durante il giorno restava-
no aper ti completamente e dovevano essere
tenuti sotto controllo per evitare che diventas-
sero punti di eccessivo ingresso dell’aria fredda
e del vento. Col passare del tempo l’introdu-
zione di materiali trasparenti che potevano ga-
rantire un certo riparo dal freddo ma non un
totale riparo, ha continuato a determinare un
uso corretto e parsimonioso delle par ti bucate
in rapporto a quelle aperte, innescando una tra-
dizione del controllo del consumo energetico
che è il carattere di maggiore interesse delle
antiche tipologie, soprattutto residenziali.
In questa ottica, chi si appresta a fare deve svol-
gere un compito estremamente delicato assi-
milabile, per cer ti versi, a quello “di un regista o
di un direttore di orchestra” o meglio del “buon
medico di famiglia” che attento conoscitore della
storia, non solo clinica di ogni singolo paziente
sappia indirizzarlo verso consulenze più appro-
fondite. In ogni caso, si può ritenere più corret-
to il riferimento alla figura del medico omeo-
patico che, tramite l’uso per piccole dosi di spe-
cifiche sostanze, adatta la cura al malato guar-
dandosi bene dal seguire schemi preconcetti di
cure per tipologie di malattia.
Tranne rari esempi la pratica professionale è
ben diversa: l’incondizionato sviluppo tecnico,
l’accentuato interesse economico verso l’edili-
zia storica, il continuo stato di emergenza in cui
versano troppi ambienti storici, soprattutto
nell’Italia meridionale, congiuntamente al con-
tinuo proliferare di materiali e di tecnologie dalla
poca indagata efficacia, costituiscono precisi fat-
tori di pericolo per i beni culturali. La più evi-
dente conseguenza deriva dall’accentuarsi di una
spiccata “componente praticistica” e dall’atte-
nuarsi della “tensione teorica” o della pondera-
ta riflessione sull’argomento.
Dall’esame dello stato in cui versa l’attuale pra-
tica professionale nasce la necessità di mettere
a punto contributi che indirizzino concretamen-
te il tecnico a scegliere le modalità per un cor-
retto intervento sulle preesistenze; non manuali
che raccolgano predisposti e ben selezionati
modelli ma prontuari ricchi d’informazioni, di
ragionati confronti, d’efficaci quadri sinottici,
ar ticolati in didascalie ed in accurati grafici, tali
da facilitare al massimo l’agevole rassegna dei
diversi elementi strutturali dell’architettura tra-
dizionale, delle loro più comuni forme di degra-
do, delle possibili tecniche d’intervento.
Si è ritenuto oppor tuno corredare l’indagine
scientifica con un sintetico “codice di compor-
tamento” in ambito critico-metodologico, sup-
por tando, anche, un ampio abaco dei materiali
e delle possibili tecniche con utili informazioni
sulle più corrette modalità d’intervento in rela-
zione alla tipologia ed alla consistenza dei de-
gradi, specificando sia i pregi che le possibili
controindicazioni.
Ritenendo che, nell’epoca della tecnologia, non
debba poi essere impossibile riuscire a mettere
insieme un materiale di restauro che non sia
meno di quello originario per caratteristiche
meccaniche e curabilità, occorre che, con que-
sto fine, l’industria organizzi i suoi cicli produt-
tivi offrendo ad un settore in for te crescita so-
luzioni più adeguate.
Lo scopo della ricerca che si è intrapresa, per il
ruolo che ci compete, è, anche, quello di pro-
muovere e suggerire i possibili adattamenti.
Nell’Irpinia colpita dal terremoto del 1980 si è
recuperato pochissimo degli antichi insediamen-
ti; alle demolizioni indiscriminate della cosiddetta
emergenza si sono aggiunte quelle progettuali,
contenute negli strumenti urbanistici e legaliz-
zate dalla legge speciale n. 219 del 1981.
Nel caos postsismico si sono saccheggiate città
antiche e teorie del restauro e si è distrutto un
patrimonio prezioso che oggi sarebbe stato il
punto di par tenza per un recupero turistico di
qualità elevata.
Oggi in quei territori, nei quali si tenta di rin-
tracciare legami con la tradizione ed il savoir
faire locale attraverso la tradizione ar tigianale,
agricola e culinaria, i luoghi per lo sviluppo, la
diffusione, la “trasmissione” della tradizione sem-
brano del tutto inadeguati ed inefficaci: la ricet-
tività è pressoché nulla; la volontà di organizza-
re sistemi alternativi all’uso sconsiderato della
costa, peraltro di grande diffusione a livello na-
zionale, sembrano mancare della materia pri-
ma necessaria.
Dopo 25 anni dal terremoto, qualsiasi lacrima
ha il valore di quella di un coccodrillo; qualsiasi
rimpianto perde senso e significato sia in asso-
luto che in rappor to a quanto è stato fatto;
qualsiasi iniziativa tende a configurarsi come
“isolata” non sufficiente, non gestibile, non ac-
cettabile per una gestione privata che, eviden-
temente, ha senso solo se può garantire utili
“accettabili”.
Che fare?
Occorre il rilancio di una operazione di recu-
pero di quel che resta di un patrimonio immo-
biliare e culturale quasi completamente distrutto
dall’abbandono e dalla mancanza di interventi
significativi.
Il recupero dei borghi della Comunità Montana
Terminio Cervialto e dei loro castelli, di diversa
entità, qualità, consistenza ed utilizzabilità è un
esempio che potrebbe essere seguito da altri
Comuni, consorziati in nome di un interesse
comune e della volontà imprescindibile di rin-
tracciare una identità propria ed una caratte-
rizzazione edilizia ed urbana che rappresentino
il degno “luogo” di una antica tradizione.
Da questa esperienza può comunque par tire
la costruzione di un codice di pratica profes-
sionale, una sor ta di “manuale” per il corretto
uso delle tecniche di ristrutturazione e restau-
ro legato ai caratteri tipici dell’architettura “mi-
nore” dei luoghi ed all’obiettivo primario di re-
alizzare un ambiente edilizio ed urbano rispon-
dente in pieno ai caratteri della “sostenibilità”.
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