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1.1 Elementi di tipicità nell’architettura locale,
l’importanza di un codice di pratica
Luciana De Rosa
“… (i teologi) affermano che la conservazione
di questo mondo è una perpetua creazione e
che i verbi ‘conservare’ e ‘creare’ tanto antiteti-
ci qui giù, in Cielo sono sinonimi”.
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Nell’odierna pratica professionale, alla dovizia
dei manuali del recupero e dei prontuari ricchi
di soluzioni predefinite e di rigide tipologie d’in-
tervento, corrisponde il progressivo annichili-
mento progettuale di numerosi tecnici che tra-
sformano l’originario intento conservativo, re-
alizzabile esclusivamente tramite atti tecnici
culturalmente e criticamente consapevoli, in una
prassi quotidiana di restauri acritici inevitabil-
mente falsificatori e distruttivi.
Ne consegue che l’aggiornamento professionale
andrebbe attuato con strumenti capaci di offri-
re un ampio “codice di lettura”, non solo sui
valori propri dell’edilizia diffusa, sulle più cor-
rette modalità per la realizzazione dell’interven-
to conservativo, ma, soprattutto su quali e quan-
te sono le specificità proprie di ogni centro sto-
rico, di ogni compar to edilizio e/o di ogni sin-
golo edificio; tutto ciò coscienti che “il fare nel
restauro è contemporaneamente giudizio sto-
rico-critico e sapere tecnico scientifico, in esso
sono compresi gli ambiti umanistici e quelli dia-
gnostico-operativi”.
Interpretando il lessico della parola “codice” nel
senso più ampio di un sistema di segni, conven-
zionali e simbolici atti a trasmettere un’infor-
mazione, o di un insieme di elementi linguistici
e stilistici che caratterizzano il sistema edilizio
in esame, si può pervenire ad una raccolta di
regole prive di valore legislativo ma ricche dei
diversi contenuti derivanti dalle consuetudini
locali ovvero dalla buona regola d’ar te: ad un
prontuario con tali caratteristiche A. Giuffré, sia
nel caso di Or tigia che di Palermo, ha dato il
nome di “codice di pratica professionale”.
Occorre, quindi, come nel caso del territorio
irpino pre e post-sisma considerare sistemati-
camente le valenze locali studiandole nei loro
valori storico-tecnici, prestando la dovuta at-
tenzione alle tipologie strutturali, ai sistemi co-
struttivi ed alla natura dei materiali, individuan-
do le patologie più ricorrenti in relazione al
par ticolare quadro ambientale ed esaminando,
infine, il complesso aspetto del cantiere e della
realizzazione delle opere.
La ricerca scientifica, condizionata dall’ottica di
intervenire “caso per caso”, ha sempre analiz-
zato singole emergenze monumentali, uniche ed
irripetibili per il loro intrinseco valore; i risultati
di tali e tante analisi, tuttavia, hanno valore esclu-
sivamente per l’oggetto in esame ma non of-
frono conoscenze di più ampio respiro riutiliz-
zabili in condizioni similari.
Pur essendo necessario, anche per l’intervento
sull’edilizia diffusa, il suppor to della diagnostica
e, quindi, della ricerca scientifica, si rischia oggi
di non potersi avvalere, per evidenti limiti sia di
tempo che di spesa, di singole indagini da con-
durre “caso per caso”.
Occorre, quindi, mettere a punto un metodo
d’indagine che consenta alla ricerca scientifica
di esprimere pareri utili per un più ampio nu-
mero di casi; legando questa metodologia alle
forme logiche del pensiero scientifico si con-
sente di attuare il processo di acquisizione co-
noscitiva e quindi, attraverso collegamenti e
relazioni, di stabilire un metodo che permetta
compor tamenti e scelte nelle proposte opera-
tive nelle quali l’analisi critica dell’oggetto stu-
diato e la ricerca sperimentale devono raggiun-
gere risultati validi per il perseguito fine della
conservazione.
Non si tenta di avviare un generico “restauro di
massa” ma di evitare che la pratica corrente,
molto lontana da qualsiasi riferimento di meto-
do, navighi in un confuso empirismo retto so-
prattutto dalle ragioni di un’economia il più volte
di bassa lega.
L’insieme di queste riflessioni ci ripor ta all’esi-
genza di mettere a punto specifici “codici di
pratica professionale”: strumenti per indirizza-
re ad un “mestiere di architetto” cosciente del-
le proprie responsabilità, delle conseguenze del
proprio operato, della durata dei propri inter-
venti e delle condizioni di vita che gli spazi di-
segnati consentono. Se è vero che la delicatez-
za delle operazioni di recupero richieste dai
centri storici ancora presenti su questo territo-
rio richiede una “pratica professionale” orien-
tata piuttosto alla conservazione ed al ripristi-
no, anche attraverso il recupero di antiche tec-
niche costruttive, tecnologie, materiali e dimen-
sioni degli spazi, è anche vero che un atteggia-
mento di questo genere degenera facilmente
nel falso e nel pedissequo ridisegno di parti non
più esistenti da ricostruire a completare edifici
il cui valore intrinseco non richiede questo tipo
di operazione.
La difficoltà maggiore in questo tipo di inter-
vento sta proprio nel dosaggio del rappor to
“conservazione-innovazione”, nella comprensio-
ne di quanto può essere espressione di nuove
forme e nuove tecnologie e quanto deve esse-
re invece traccia di ciò che esisteva prima e
che non esiste quasi più. È questa una condi-
zione par ticolarmente delicata di progetto, nel
quale occorre disporre di una accurata analisi
della densità dei vincoli presenti, da rispettare,
degli elementi da recuperare, di quanto può
essere conservato e di quanto invece deve es-
sere modificato. L’ipotesi di riproporre “falsi”
presepi fuori tempo per riprodurre ambienti
non più esistenti e non più reali, non appar tie-
ne agli obiettivi di questa ricerca, che invece
spaziano fra l’individuazione delle tecniche le-
gate al savoir faire regionale e di tecniche più
aggiornate e recenti, per realizzare edifici con-
temporanei, collocati però in questo spazio ed
in questo tempo. Il recupero di quanto fino ad
oggi è rimasto come traccia dell’evoluzione dei
luoghi nel tempo merita cer tamente di essere
conservato per rappresentare il trait d’union
fra il vecchio ed il nuovo: sono spesso resti pri-
vi di altezza, tracce di geometrie planimetriche
il cui interesse è anche di tipo dimensionale,
tratti di vecchi muri da reinserire nei nuovi, a
memoria dell’aspetto architettonico delle anti-
che costruzioni. A volte sono elementi che con-
sentono di ricostruire antiche tipologie di al-
loggi e di edifici, che hanno il valore di testimo-
nianze di un’epoca e di un modo di vivere.
Probabilmente – ed è quello che questa ricer-
ca si propone di mettere a fuoco – nell’ottica
della riproposizione di un ambiente “sostenibi-
le” l’elemento che ha maggiore interesse è rap-
presentato dalle tecnologie e tecniche costrut-
tive for temente legate ai luoghi ed alla disponi-
Castelvetere sul Calore (AV). Vista notturna del borgo
recuperato
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