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2.2Tecniche costruttive
Fondazioni
Dall’esperienza il mastro (fabbricatore) defini-
va le qualità tecniche del terreno e quindi sta-
biliva la profondità da raggiungere che oscillava
da i valori medi di 1,20-1,30 m a valori massimi
di 2 m quando le qualità del terreno erano poco
soddisfacenti o le dimensione della fabbrica era-
no di par ticolare grandezza. La dimensione tra-
sversale della fondazione era quasi sempre di
0,80 m, quindi si realizzava una trincea, even-
tualmente, protetta con una sbadacchiatura di
tavolame.
La realizzazione della fondazione era analoga a
quella di un normale muro, pietra e calce, sen-
za nessuna differenza sia nella qualità delle pie-
tre sia nella modalità di posa in opera. Si proce-
deva eseguendo filari alti 50-60 cm, chiamati
“maniata”, completandoli con una listatura di
pietrame.
Arrivati a quota -30 cm rispetto al piano di pri-
mo calpestio, si realizzava la prima risega che
segnava il passaggio dalla fondazione al muro in
elevazione.
Muratura
Sono diverse le murature che si trovano nel ter-
ritorio, ma se tralasciamo alcune eccezioni, la loro
realizzazione era caratterizzata da pietre appe-
na squadrate, senza una dimensione tipo ma
variabile dai 30-40 cm fino ai piccoli pezzi.
Gli elementi di pietra impiegati per la costru-
zione della muratura si classificavano in funzio-
ne delle loro dimensioni: la zavorra tonda e di
10 cm circa, la pulce di 3-5 cm, la “chiattarola”
di grandi dimensioni e di forma piatta.
Come abbiamo già visto la muratura aveva quasi
sempre uno spessore costante di 70 cm circa; essa
si realizzava procedendo per altezze di 50-60 cm,
lungo l’intero perimetro (nel gergo locale ogni
strato di muratura si chiamava “maniata”).
Questo strato veniva, ogni volta, compianato
superiormente; ciò per facilitare il transito del
mastro, ma soprattutto per realizzare delle mu-
rature più resistenti. Infatti, in tal modo le pie-
tre ogni volta venivano poste con le giunture
orizzontali che meglio resistono alla trasmissio-
ne dello sforzo di compressione;
Gli angoli venivano realizzati con una maggiore
cura, in par ticolare quando c’era una maggiore
disponibilità economica si chiamava lo scalpelli-
no e si ordinava un cer to quantitativo in metri
di cantonale, oppure era il fabbricatore stesso a
realizzare il cantonale con conci più grossolani.
Questo mostra l’importanza della resistenza alle
azioni orizzontali della costruzione, realizzata
con buoni incatenamenti e con pannelli murari
ad interassi di massimo 6 m.
Quest’ultima prassi confrontata all’edilizia di
territori non sismici (come ad esempio della
pianura Padana, dove le distanze tra i pannelli
murari arrivava sino a 10-12 m ed inoltre si tro-
vano elementi esili come pilastri in legno o
muratura) fa evidenziare come anche questo
aspetto, prettamente ingegneristico, facesse
par te della tradizione costruttiva dell’Irpinia.
Arrivati all’altezza del primo solaio, se gli edifici
erano di esigua altezza si continuava nell’esecu-
zione del muro sino alla futura coper tura altri-
menti si realizzava il solaio. Ai piani superiori
spesso si realizzava una risega di 5 cm, se il muro
era di spina la risega naturalmente si realizzava
su entrambi i lati.
Procedendo verso l’alto si presentava il pro-
blema del traspor to ver ticale dei conci, che
veniva risolto con l’esecuzione di un ponteggio,
realizzato eseguendo dei fori pontali nella mu-
ratura e inserendo delle assi di legno per lo svi-
luppo dell’impalcatura.
Va segnalato, inoltre, che procedendo verso l’al-
to i conci diminuivano di dimensioni per la dif-
ficoltà del loro traspor to ver ticale.
I fori pontali, esternamente, venivano lasciati
aper ti per facilitare l’indurimento della malta di
calce (essendo questo processo possibile solo
alla presenza di aria), questo ci spiega perché
ancora oggi nelle vecchie murature li ritrovia-
mo ancora aper ti.
La capacità del mastro, nel costruire il muro, si
manifestava anche nel gesto di saper scegliere
ogni volta la pietra giusta e come con apparen-
te semplicità, riuscisse a completare il puzzle
mancante.
L’intonaco non veniva realizzato in tutti gli edi-
fici, era sempre e solo a base di calce e sabbia
di cava.
Spesso con l’intonaco, ai piani bassi, si disegna-
vano delle trame per simulare un muratura in
blocchi di pietra regolari.
Primo calpestio
Come abbiamo visto il muro di fondazione si
restringeva ad una profondità di 30 cm rispet-
to al primo calpestio, e diventava muro di ele-
vazione; alla stessa profondità si abbassava il
terreno internamente alla fabbrica.
Il pacchetto di calpestio par tiva con un vespaio
realizzato con pietre di dimensioni dai 20-25
cm e in alcuni casi si realizzavano dei canali che
servissero all’eventuale innalzamento della fal-
da per evacuare l’acqua.
Realizzato il primo strato di pietre si distribuiva
uno strato di 10 cm di un misto di sabbia e pie-
trisco, infine si eseguiva la pavimentazione, pog-
giandola su alcuni cm di calce e sabbia asciutta.
Il pavimento al piano terra era realizzato con
“basoli”, blocchi di pietra squadrata e scalpella-
ta, solo superiormente. La prima lavorazione di
questi conci avveniva nel luogo dove venivano
estratte le pietre, ad esempio vicino ai torrenti,
lo scalpellino sceglieva il pezzo, lo lavorava e
solo infine lo traspor tava al cantiere. Con ciò,
percepiamo il valore di questi oggetti, pensan-
do allo scalpellino che si muove lungo il torren-
te scegliendo il blocco di pietra giusto per la
lavorazione.
In alcuni casi il pavimento si eseguiva con mat-
tonelle di cotto o con mattoni in argilla trattati
e colorati.
Solai
Il piano di calpestio intermedio è l’elemento di
fabbrica che più si è sviluppato in diverse tipo-
logie sia di forma che di tecniche e materiali.
Una prima classificazione, che si può operare, è
quella di dividere tale elemento in solai e volte;
i solai si possono a loro volta dividere in: solai
in legno e solai in ferro.
– Solai in legno
Erano costituiti da travi ad un interasse di 80-
100 cm, sopra cui era posato un tavolato senza
nessun par ticolare fissaggio, trattenuto dal mas-
so che superiormente veniva sovrapposto. Que-
sto tipo di posa era dovuta alla necessità di
evitare l’utilizzo di chiodi, che rovinassero il le-
gno in seguito alle differenti deformazioni. Il
masso era necessario per realizzare un piano
di appoggio stabile sopra cui disporre il matto-
nato tramite uno strato di malta di calce.
Le travi in legno erano leggermente sbozzate,
per eliminare la cor teccia, e nelle par ti estreme
venivano impregnate con la pece. Il dormiente
veniva preparato con delle pietre più grandi
della trave, poggiate di piatto.
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